La Riforma costituzionale: quale democrazia

“La Riforma costituzionale: quale democrazia”

Seminario estivo di Agire Politicamente 2016

Sintesi dei lavori

Pier Giorgio Maiardi

Laggio di Vigo di Cadore – 27-30 agosto 2016


Un Seminario di “cattolici democratici”

L’intento del Seminario era quello di sviluppare un’attenta e serena riflessione critica sul merito della riforma costituzionale, senza porsi l’obiettivo di impegnare l’associazione su una specifica posizione, ma piuttosto di fornire gli elementi utili ad un percorso ragionato per un voto responsabile al Referendum di autunno.

E questa impostazione è stata ribadita da Lino Prenna sia in apertura che nella conclusione del Seminario ritrovandone le ragioni nell’ispirazione e nello stile del cattolicesimo democratico, preoccupato di salvaguardare la qualità della democrazia con la capacità, richiamata da Pierluigi Castagnetti, di interpretare la situazione politica contingente e di dare una gerarchia ai temi in gioco.


Richiamando lo scopo originario del cattolicesimo democratico, di conciliare il cattolicesimo con la democrazia, Prenna ha evidenziato la divaricazione oggi esistente fra società civile e società politica e la necessità di una conciliazione per un unico “bene comune”: la democrazia ha il compito di saldare questa divaricazione operando con le due braccia della libertà e della uguaglianza che hanno guidato la carta costituzionale. Ora la società civile si è pluralizzata e si è fatta complessa, è in atto un processo di orizzontalismo che si incrocia con un processo di verticalizzazione, la società civile va in senso inverso alla società politica: si tratta di una complessità che deve poter essere governata dalla democrazia partecipata, in una repubblica, dice Scoppola, che si deve evolvere da una repubblica dei partiti ad una repubblica dei cittadini. Ma la riforma costituzionale oggi proposta opera in questa prospettiva? La crisi politica ha messo in discussione la cultura del progetto e la cultura della mediazione: il cattolicesimo democratico, che non è mai stato un’ideologia, è un progetto che va al di là della contingenza ed ha la cultura della mediazione che lega l’assoluto al relativo ed ha l’intelligenza della realtà del quotidiano.

In questo spirito è necessario togliere al referendum il carattere apocalittico entrando nel merito della riforma da valutare anche sotto l’aspetto politico. E’ in crisi il pensiero, qualcuno ha osservato nella discussione, in una società contraddittoria, incapace di far convivere le contraddizioni, le persone sono capaci di farsi rappresentare? La rappresentanza è in crisi in tutte le strutture intermedie. Da qui l’esigenza di un servizio alla formazione che è premessa alla trasformazione. A questo proposito, dirà Roberto Grigoletto, sarebbe opportuna una “scuola di formazione” permanente, che non sia un’operazione di nostalgia, anche se noi appariamo come “nani sulle spalle di giganti”.

E’ qui che si è inserita la meditazione di don Battista Pansa: la logica in cui ci muoviamo, ha affermato, è l’opposto dell’esigenza evangelica. Proprio perché siamo cristiani, dice il card. Martini, siamo attenti a ciò che di buono vi è in tutte le fedi e le religioni, questo è il Vangelo della pace: la battaglia spirituale non è contro gli altri ma contro se stessi e l’unico modo di pace è quello di rapportarsi con gli altri senza preconcetti e senza prevenzioni. Oggi, dice don Pansa, la società e la politica soffrono delle stesse tre tentazioni a cui fu sottoposto Cristo, quelle dell’avere, del potere e dell’apparire.

La riforma della Costituzione: contenuti e valutazioni

Pierluigi Castagnetti ha ricordato le origini della carta costituzionale, il clima sociale e politico e le intenzioni che l’hanno originata, gli uomini, i pensieri e le idee che l’hanno generata: è la prima parte che ne fa la Costituzione “più bella del mondo” ed è qui che è predominante l’ispirazione dei cattolici che avevano chiaro il senso dello Stato. La provvisorietà degli strumenti e delle istituzioni disegnati nella seconda parte, dirà successivamente Paolo Giaretta, era stata già affermata esplicitamente anche da Aldo Moro.

A proposito del referendum, Castagnetti, pur esprimendo riserve sul modo di governo di Matteo Renzi, che, quanto ai contenuti, ha peraltro aspetti senz’altro positivi, ammonisce a rifuggire dalla tentazione di farne un giudizio sul Governo. E invita a riflettere su alcuni aspetti di fondo che caratterizzano la situazione attuale. La nostra, oggi, appare, infatti, una “democrazia senza”: senza lavoro, senza partecipazione, senza sovranità popolare…. mentre l’Europa, lungi da come l’aveva pensata De Gasperi, appare ferma, con una funzione frenante, incapace di procedere; i cattolici democratici devono saper discernere e saper “maneggiare” i meccanismi della democrazia. Nel valutare il voto al referendum assumono, quindi, grande importanza gli effetti che questo può produrre sulla situazione politica nazionale.

Alessandro De Nardi ha aiutato a leggere la riforma per entrarne nel merito ammonendo ad abbandonare eventuali pregiudizi: la Costituzione non è i ”10 comandamenti”, è scritta bene, è di alto livello ma è modificabile dopo il collaudo dell’esperienza che ne abbiamo fatto in questi 70 anni e ha necessità di una manutenzione ordinaria, nella 2° parte, per rispondere alle esigenze del tempo che è notevolmente mutato rispetto all’epoca della Costituente. Questa è una riforma di sistema ed è senz’altro la più ingente mai attuata. A proposito del Referendum confermativo, un eventuale spacchettamento degli argomenti trattati non è possibile perché nono sono possibili pareri differenziati fra le diverse parti. E’ senz’altro condivisibile la critica sul metodo seguito per l’approvazione parlamentare della riforma ma questo non può essere ritenuto un fattore determinante. Gli articoli principali modificati sono una decina e non certamente i 47 che taluni organi di stampa hanno evidenziato: nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di aggiustamenti obbligati a motivo delle riforme apportate al sistema. Una cosa è criticare la forma lessicale e gli “strafalcioni”, altro è esprimere critiche sulla sostanza della riforma. Non ci può scandalizzare neppure che sia stato il Governo ad assumere l’iniziativa della riforma: faceva parte del suo programma e diverse modifiche alla proposta governativa sono state apportate in sede parlamentare, modifiche, peraltro, che in diversi casi hanno peggiorato il testo iniziale.

La principale novità riguarda l’eliminazione del bicameralismo perfetto: non è sufficiente motivarlo con i tempi lunghi richiesti dall’iter di approvazione delle leggi perché si è dimostrato che il fattore tempo dipende dalla volontà politica. E neppure tiene l’argomento della riduzione dei costi. La ragione prima, invece, è rappresentata dalla volontà di portare la periferia al centro, di portare a Roma la voce dei territori: cambiano, così, la composizione e le competenze del Senato che già nell’Assemblea Costituente erano state oggetto di discussione. Così come era stata in discussione l’elezione indiretta dei suoi membri per opera dei Consigli regionali. Quanto alle competenze una serie di leggi continueranno ad essere oggetto di esame da parte di entrambe le Camere, con i medesimi procedimenti di oggi, e vi saranno invece leggi monocamerali, approvate dalla sola Camera dei Deputati con la possibilità, tuttavia, per il Senato di esprimere pareri: l’art. 70, portato ad esempio dai critici per la lunghezza della sua stesura, rispetto alla stringatezza precedente, deve necessariamente specificare, per la certezza del diritto, le competenze delle due Camere che si differenziano mentre prima si identificavano. Positiva appare la definizione dei termini e della data certa in cui devono essere approvati i decreti emanati dal Governo. Viene reso più facile il ricorso al referendum: se lo richiedono 800.000 cittadini è sufficiente il parere favorevole del 50% degli elettori dell’ultima consultazione elettorale. E vengono introdotte due nuove possibilità di referendum: quello propositivo e quello di indirizzo. Le maggioranze richieste per l’elezione del Presidente della Repubblica non potranno automaticamente consentire, contrariamente a quanto affermato da alcune voci critiche, che l’elezione possa avvenire per opera di una minoranza parlamentare a motivo della possibilità, al settimo scrutinio, di eleggere il Presidente con il voto favorevole dei soli 3/5 dei presenti: in base all’art. 64, infatti, per la validità delle deliberazioni assunte è sempre richiesta la presenza della maggioranza dei componenti le Camere. Un aspetto positivo può essere rappresentato dalla possibilità che, su richiesta di almeno 158 deputati, le leggi approvate dal Parlamento non possano entrare in vigore se non dopo l’esame della Corte Costituzionale. Riguardo al Titolo V De Nardi afferma che con la Riforma si provoca una riduzione dell’autonomia regionale ed evidenzia la definizione delle materie di competenza delle Regioni in modo da eliminare le “materie concorrenti” che hanno prodotto un numero esagerato di ricorsi alla Corte Costituzionale. Paolo Giaretta giudica questa modifica positivamente perché ora è tutto più chiaro: è vero che le competenze delle Regioni si sono ridotte, con un conseguente accentramento, ma le Regioni possono sempre richiedere maggiori poteri su alcune materie. E poi viene riaffermato il principio dell’unità nazionale. E’ passato il tempo in cui si è pensato che il “federalismo” fosse la panacea con una visione eccessiva delle Regioni dettata dalla necessità di conquistare il favore della Lega. Le modifiche proposte nascono da un’esperienza, non si sono, infatti, prodotti i risultati attesi. Anche l’abolizione delle Provincie può essere vista con favore in quanto questi enti hanno sempre avuto una funzione prevalentemente amministrativa, piuttosto che politica. Le città metropolitane, così come si sono realizzate, non corrispondono all’omogeneità dei territori e non hanno l’autorevolezza che verrebbe dall’elezione popolare dei governi, per cui si può nutrire qualche dubbio sulla loro possibilità di funzionamento. Quanto alla rappresentanza effettiva delle Regioni nel nuovo Senato, De Nardi ritiene che sarebbe positiva la presenza dei Presidenti delle Regioni che sono stati eletti direttamente dai cittadini ma, osserva, essi non sono “consiglieri” e quindi, per la loro eventuale presenza nel Senato, mancherebbe il presupposto per l’elezione, secondo un’interpretazione letterale della riforma. Novantacinque membri del Senato, su 100 complessivi (5 “possono essere nominati dal Presidente della Repubblica”) dovranno essere eletti, con metodo proporzionale, dai Consigli regionali, compresi i sindaci dei Comuni del territorio, tenendo conto delle scelte espresse dagli elettori nell’elezione di detti Consigli: il Consiglio regionale avrebbe, quindi, solamente un potere di ratifica? Quale criterio sarà seguito per individuare i consiglieri da eleggere al Senato? Potrebbe essere il numero delle preferenze ottenute nell’elezione dei Consigli regionali?

Le modalità di elezione dei membri del Senato può far pensare ad una probabile prevalenza, nella composizione di detto Organismo, delle parti politiche piuttosto che degli enti territoriali.

La riforma presenta, quindi, nel merito, luci ed ombre: ogni elettore, come dice Candido De Martin (vedi dossier Referendum nel sito di Agire Politicamente), dovrà orientarsi sulla base della prevalenza delle une o delle altre. Per orientare l’elettore, lo stesso De Martin suggerisce che fin da ora vengano rese note le proposte di formulazione delle leggi attuative. Certamente, dice De Nardi, la nostra crisi politica non può essere risolta con la modifica della Costituzione. E quindi nella decisione sul voto nel Referendum appare indispensabile anche una valutazione sulla situazione politica.

A proposito del nuovo Senato, Edoardo D’Alfonso fa una panoramica sugli organismi analoghi presenti negli altri Paesi europei: non vi è un modello uniforme, solamente in 13 su 28 stati è prevista una seconda Camera e solamente in 3 stati è prevista l’elezione diretta dei membri di detta Camera. Ovunque ci sia un decentramento amministrativo esiste una “Camera alta” che rappresenta i territori decentrati. Importante appare la competenza del nuovo Senato riguardo al rapporto con l’Unione Europea per l’impatto delle politiche europee sui territori: la sua funzione può riguardare non solamente l’applicazione delle norme ma anche la fase della loro formulazione (art. 55).

Le ragioni del “no” e le ragioni del “sì” al Referendum

Le ragioni del “no” nel voto referendario sono state esposte dall’intervento di Domenico Gallo. La sovranità popolare, su cui si fonda la nostra Repubblica, a partire dalla scelta fra monarchia e repubblica, dice Domenico Gallo, oggi è di fatto venuta meno perché il potere è detenuto dal mercato: si tratta di una situazione internazionale. Oggi è doveroso non adeguarci a questa situazione e difendere, invece, la democrazia: le costituzioni hanno questo compito e devono essere salvaguardate. La tendenza, invece, è quella di indebolire i poteri dei Parlamenti e rafforzare quelli dei Governi: in questa direzione vanno anche le direttive europee. Oggi si ritiene che il Senato attuale vada eliminato perché intralcia e ritarda l’attività legislativa e si considera auspicabile un Parlamento con una maggioranza certa, conforme al Governo. Quello che si vuole attuare, con la riforma costituzionale proposta, è il passaggio da una repubblica ad un’altra repubblica: si tratta di un referendum analogo a quello del 1946. Si ritiene che l’indebolimento del Parlamento ed il rafforzamento del Governo renda la politica più condizionabile dal potere del mercato.   Ne è prova il favore espresso per la riforma da autorevoli esponenti dell’economia e dell’imprenditoria, come Marchionne. Si dice che il Senato, nella sua attuale configurazione, deve essere abolito perché intralcia la puntuale approvazione delle leggi ma l’esperienza dimostra che l’80% delle leggi è di iniziativa del Governo e l’approvazione avviene in un tempo medio di 4 mesi: i tempi lunghi sono dovuti alla volontà politica. La funzione positiva di contrappeso del bicameralismo è dimostrata dal fatto che più di una volta il Senato ha evitato l’emanazione di leggi errate: il doppio esame produce decisioni più meditate e consente un’interlocuzione con i cittadini. Dai fautori del “sì” il bicameralismo viene giustificato con la necessità di un compromesso fra parti politiche, fortemente contrapposte al tempo dell’Assemblea costituente, e con il pericolo, allora molto sentito, di un ritorno al totalitarismo: ma il pericolo totalitario è un male da cui occorre tuttora e sempre difendersi e la divisione dei poteri è stata voluta e sancita dalla Costituzione che è guardiana delle regole. Oggi, inoltre, esiste l’emergenza della nuova legge elettorale che manipola fortemente la volontà degli elettori con premi di maggioranza spropositati che danno al Governo un potere esagerato: esiste un nesso inscindibile fra la riforma costituzionale e la legge elettorale che instaura una democrazia dell’investitura, inversa a quella della rappresentanza. Il Senato ora proposto riporta, di fatto, al centro le decisioni ed i poteri che erano stati decentrati: vengono tolte alla competenza delle Regioni materie importanti e, su queste, le Regioni non possono più interferire sulle decisioni del Governo centrale che può, inoltre, intervenire ogni volta che ritenga compromesso l’interesse nazionale. Gallo condivide il parere che, con questa riforma, la Repubblica diventi un principato, si crei l’”uomo forte” al comando. Rispondendo alle obiezioni poste nella discussione, Gallo ribadisce che le Costituzioni sono scritte per difendersi dai “demoni” e che occorrono forti istituzioni di garanzia, ogni potere è limitato da altri poteri. Questa riforma non è quella che salva la democrazia: a un federalismo sgangherato, citando De Siervo, contrappone un centralismo sgangherato. Quanto alle modalità di approvazione della riforma Gallo osserva che la Costituzione deve unire e non può essere un elemento di divisione e, in aggiunta, il Parlamento che ha approvato questa riforma è stato dichiarato illegittimo per essere stato eletto con le modalità previste da una legge dichiarata incostituzionale e l’eventuale approvazione referendaria non può sanare tale illegittimità. Non c’è dubbio che la situazione abbia necessità di riforme ma non è questa forma che risponde a tale esigenza. Noi stiamo subendo l’Europa.

A Gallo rispondono, con le ragioni del “sì”, Paolo Giaretta e Giancarla Codrignani, con la lettera inviata a motivo di un infortunio che all’ultimo momento le ha impedito la presenza diretta.

Giaretta dice che la riforma non rappresenta un “colpo di mano” ma è frutto di un lungo lavoro parlamentare e che è assolutamente eccessivo affermare che il Parlamento diventa succube del Governo. Nella riforma vi sono molti lati positivi come, oltre a quelli già evidenziati, la limitazione del ricorso al voto di fiducia per l’approvazione delle leggi, un voto che non consente l’indispensabile dibattito parlamentare: per questo è meglio una regola che fissi un limite di tempo per l’esame del Parlamento. E’ auspicabile una valutazione serena della riforma proposta, senza estremismi.

Giancarla Codrignani evidenzia, innanzitutto, il radicale cambiamento del mondo: stiamo vivendo un passaggio d’epoca che fa paura e che pone problemi gravi come quelli del lavoro e dell’immigrazione e la gente reagisce con la paura, la frammentazione, la chiusura, l’antipolitica. Si parla del voto come garanzia per la democrazia ma, in Turchia, Erdogan è stato eletto a larga maggioranza come Mussolini ed Hitler. In Italia, Renzi, “di cui m’importa poco”, ha deciso giustamente di chiudere la questione annosa delle modifiche costituzionali. La riforma proposta ha il carattere di una manutenzione, e non di una manomissione, che lascia immutata la prima parte con i principi che devono essere attuati: in Costituzione stanno partiti, sindacati e cooperative come organi di partecipazione di cui non si è mai resa obbligatoria la trasparenza. Così come è urgente regolamentare le lobbies. Non possiamo parlare di “uomo solo al comando” perché il Presidente del Consiglio resta colui (o colei) che, in quanto capo dell’Esecutivo, dirige la politica e ne è responsabile: l’esperienza fatta con la legge che regola l’elezione dei Sindaci dice che non ci sono state conseguenze antidemocratiche. Il Parlamento monocamerale resta composto di ben 630 rappresentanti che richiamano l’elettore all’esercizio delle sue responsabilità. La democrazia decade quando i meccanismi sono arrugginiti e lenti come dimostrano i 63 governi succedutisi in 70 anni, la legge elettorale è una legge e può essere modificata, la sovranità resta affidata al popolo.

La legge elettorale

A proposito della nuova legge elettorale, richiamata da Gallo, De Nardi aveva citato la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato parzialmente incostituzionale il “porcellum” pur sancendo la legittimità del Parlamento che, con quello, era stato eletto. L’incostituzionalità era stata individuata nell’attribuzione del premio di maggioranza ad una lista senza alcun riferimento ai voti ottenuti e nelle liste bloccate senza alcuna possibilità, per l’elettore, di influire nella scelta degli eletti. La legge ora votata dal Parlamento si basa su un sistema proporzionale con premio di maggioranza al partito vincente con almeno il 40% dei voti e con un secondo turno di ballottaggio nel caso in cui nessuno raggiunga tale limite: al ballottaggio vanno i due partiti che hanno ottenuto il maggior numero di voti, qualunque sia la loro quantità e vince chi ottiene più voti, senza alcuna soglia minima, occupando nel Parlamento il 54/55% dei seggi; i collegi sono 100 e in ognuno vengono presentate liste predisposte dai Partiti con l’elezione bloccata per il capolista ed i voti di preferenza per gli altri candidati; una soglia di sbarramento del 3% e la possibilità di candidature multiple che consentono ai capilista di presentarsi in più collegi, fino ad un massimo di 10 con conseguente dovere di opzione senza tener conto dei voti ottenuti dal secondo candidato in lista. Non v’è dubbio che l’Italicum, nome con cui viene identificata la nuova legge elettorale, presenta caratteri di incostituzionalità: la Corte dovrebbe pronunciarsi entro il prossimo mese di ottobre ma potrebbe non pronunciarsi perché la legge non ha ancora operato. Può esserci un collegamento con la riforma costituzionale ma si tratta di due provvedimenti formalmente distinti e modificabili separatamente e non appare quindi corretto valutarli congiuntamente come fossero un “combinato disposto”.

Le luci e le ombre della riforma

Vincenzo Satta ha presentato il documento con cui l’associazione “Città dell’Uomo” ha inteso pronunciarsi sulla riforma e sul Referendum (vedi dossier referendum nel sito di Agire Politicamente): il documento è frutto di un intenso dibattito che ha evidenziato posizioni differenziate all’interno dell’Associazione. Lo stile è stato quello della riflessione dialogica con la fermezza sui contenuti di fondo, nello stile di Giuseppe Lazzati, fondatore dell’associazione. No a prese di posizione ma piuttosto offerta di elementi di riflessione e di discernimento. La forma di Governo appare, nel nostro Paese, già modificata durante la presidenza di Napoletano che ha scelto in più occasioni il primo ministro dettando la linea di governo: una forma di semipresidenzialismo a motivo dell’incapacità dei Partiti di esprimere una linea politica autonoma. Le politiche che gli ultimi governi hanno sviluppato derivano, infatti, da indicazioni che vengono dall’esterno, come quella dell’art. 81 della Costituzione sull’obbligo del pareggio di bilancio: questo avrà pesanti conseguenze soprattutto per le politiche sociali. Nella riforma il problema non è l’eliminazione del bicameralismo perfetto, che anche Dossetti avrebbe voluto modificare, ma la forma con cui si è sostituito il Senato. Le Regioni, realizzate tardi rispetto all’entrata in vigore della Costituzione, sono, di fatto, enti di amministrazione dello Stato e attuano le direttive europee: c’è da chiedersi cosa vogliamo fare delle Regioni. Il federalismo è un processo di aggregazione politica e, in questo senso, trova significato una sede di rappresentanza nello Stato: se il nuovo Senato vuole essere questo ci si chiede il perché della presenza dei Comuni. La riforma proposta non risponde, peraltro, a questo obiettivo: se così fosse sarebbe più logica e coerente l’elezione indiretta da parte dei Consigli regionali, come prevedeva la proposta originaria del Governo, prima della discussione in Parlamento. L’indicazione delle materie di competenza delle Regioni, dopo i numerosi conflitti di competenza, tiene conto della giurisprudenza della Corte Costituzionale. Buona appare la forte limitazione della decretazione da parte del Governo, buona è anche l’eliminazione del CNEL. Rispetto alla situazione economica e sociale, l’indirizzo di governo non può essere garantito dalla struttura delle istituzioni: sono i Partiti che devono elaborare le proposte ed è il Parlamento che lo deve determinare.   Il metodo con cui si è attuata la riforma rappresenta, invece, un’involuzione personalistica ed è questa che ha provocato la spaccatura anche fra i costituzionalisti e fra le associazioni.   Da qui l’indispensabilità, emersa nel dibattito del Seminario, di valutare gli aspetti politici unitamente a quelli di esclusivo merito della riforma: quale la situazione politica che si determinerebbe per effetto dell’esito del voto referendario? E questa, a seconda dell’esito, potrebbe consentire eventuali modifiche migliorative sia della riforma proposta che, anche, della legge elettorale o potrebbe, invece, congelare l’attuale situazione?

La conclusione del Seminario

Proprio in questa situazione sociale e politica il cattolicesimo democratico trova una sua nuova attualità, ha detto Prenna citando Giannino Piana a conclusione del Seminario, evidenziando la legittimità dei cattolici del no e dei cattolici del sì: siamo impegnati, infatti, da cattolici e non in quanto cattolici e nostro compito è illuminare la ragione e non provocare la fazione.

Dopo aver ribadito che nostro compito è quello di illuminare la ragione, sullo stile del documento di Città dell’Uomo, Prenna ha osservato che l’indicazione che emerge dal Seminario è quella di lavorare sui margini migliorativi possibili attraverso le leggi attuative della riforma costituzionale.

L’impegno dell’Associazione è quello di ripensare il cattolicesimo democratico sulla linea interpretativa indicata da Papa Francesco, e di dar vita a luoghi di formazione con percorsi seminariali anche di carattere stabile unitamente ad altre realtà associative, come la Fondazione “persona, comunità, democrazia”. Una forma potrebbe essere rappresentata dall’apertura di scuole di educazione alla politica nei territori: un’ipotesi specifica è nata proprio qui, nella sede di questo Seminario, in collaborazione con l’Associazione che ci ha ospitato, ha attivamente condiviso i lavori ed ha consentito l’esito positivo del nostro Seminario.

 

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